LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto il primo al 3689/1988 del r.g. aa.cc., proposto da Palermo Carlo, magistrato di tribunale con funzioni amministrative presso il Ministero di grazia e Giustizia, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Adriana n. 15, presso lo studio dell'avv. Alfredo Angelucci, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso, ricorrente contro il procuratore generale presso la suprema Corte di cassazione, il Ministero di grazia e giustizia e il consiglio superiore della magistratura, intimati, e sul secondo ricorso, iscritto al n. 4122/1988 del r.g.aa.cc., proposto dal Ministero di grazia e giustizia, in persona del Ministro in carica, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis, controricorrente e ricorrente incidentale, contro Palermo Carlo, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Adriana n. 15, presso lo studio dell'avv. Angelucci, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso, controricorrente e contro il procuratore generale presso la suprema Corte di cassazione, intimato avverso la sentenza del consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, emessa il 18 dicembre 1987; Udita nella pubblica udienza, tenutasi il giorno 22 giugno 1989, la relazione delle cause svolte dal cons. rel. Caturani; Uditi gli avvocati Angelucci e Cocco; Udito il pubblico ministero, nella persona del dott. Mario Di Renzo, sostituto procuratore generale presso la suprema Corte di cassazione, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale, l'accoglimento del secondo motivo di quello incidentale, nonche' il rigetto degli altri. RITENUTO IN FATTO Con sentenza del 26 giugno 1985 la sezione disciplinare del consiglio superiore della magistratura dichiarava il dott. Carlo Palermo responsabile di violazione dell'art. 18 del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, per essere venuto meno ai propri doveri funzionali cosi' compromettendo il prestigio dell'ordine giudiziario secondo i capi 1, 2, 4, 6 e 7, delle incolpazioni precisate nella epigrafe della impugnata decisione e gli infliggeva la sanzione disciplinare della perdita di anzianita' per mesi sei, ordinandone lo spostamento nel ruolo di un trentesimo dei posti di organico; assolveva lo stesso dott. Palermo dell'incolpazione di cui al capo 5 perche' era risultato escluso l'addebito. La stessa sezione non adottava alcuna decisione sul capo 3 della incolpazione perche' in ordine ad esso il procuratore generale presso la Corte di cassazione aveva disposto la sospensione, in considerazione della pendenza, tuttora sussistente, di un procedimento penale innanzi al tribunale di Venezia concernente lo stesso fatto. A seguito di ricorso del solo incolpato le sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza del 24 luglio 1986, n. 4754, accoglievano il secondo e quinto motivo, relativi ai capi 2 e 7 della incolpazione, nonche' per quanto di ragione il settimo, concernente la entita' della sanzione disciplinare inflitta; rigettavano gli altri motivi di ricorso, cassavano la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviavano la causa, per nuovo esame, alla Sezione disciplinare. Con decreto 21 luglio 1987 del presidente della sezione disciplinare comunicato al dott. Palermo il 27 luglio 1987, veniva fissata l'udienza del 18 dicembre 1987 per la discussione del presente procedimento. In tale udienza la sezione disciplinare procedeva al dibattimento nel quale il dott. Palermo dichiarava di consentire alla eventuale estinzione del procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 12 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, e chiedeva nel merito l'assoluzione da tutte le incolpazioni per esclusione degli addebiti. La sezione disciplinare, con la impugnata decisione, dichiarava il dott. Carlo Palermo responsabile delle incolpazioni di cui ai capi 1,'4 e 6 e gli infliggeva la sanzione dell'ammonimento; assolveva invece lo stesso dott. Palermo dalle incolpazioni di cui ai capi 2, 7 per esclusione dell'addebito. Riteneva la sezione disciplinare infondata l'eccezione, sollevata dall'incolpato, di estinzione del procedimento per inosservanza, in sede di rinvio, dei termini di cui all'art. 12 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, non potendo tale disposizione essere estensivamente applicata in detta sede. Infatti, per quanto riguarda in particolare il termine di un anno previsto dalla prima parte del quarto comma dell'art. 12 citato, entro cui con decorrenza dall'inizio del procedimento deve essere comunicato all'incolpato il decreto di fissazione della discussione orale, osservava che il termine anzidetto trova la sua giustificazione nel tempo necessario per l'estinzione, ma appare estraneo alla disciplina del giudizio di rinvio nel quale non e' previsto alcun successivo intervento istruttorio del procuratore generale presso la Corte di cassazione e la emissione del decreto di citazione e' affidata alla esclusiva iniziativa del presidente della sezione disciplinare. Tale procedura e le disposizioni degli articoli 32 e 34 del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, secondo le quali nel procedimento disciplinare di merito e quindi anche nella fase di rinvio, trovano applicazione, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale, escludono d'altra parte, la rilevanza del richiamo difensivo all'art. 392 del c.p.c. D'altra parte, la Corte costituzionale, con sentenza del 22 giugno 1976, n. 145, ha dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale della disciplina normativa sui magistrati allora vigente (l'art. 59 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, nel testo originario, prevedeva una durata illimitata del procedimento disciplinare, senza alcun termine neanche per l'esercizio dell'azione). Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso principale in base a quattro motivi il dott. Carlo Palermo; ha resistito con controricorso ed ha proposto a sua volta ricorso incidentale affidato a due motivi il Ministero di grazia e giustizia. Il ricorrente principale ha resistito a sua volta con controricorso al ricorso incidentale ed ha presentato memoria. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. - Il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 del c.p.c. 2. - Nell'ordine logico e' pregiudiziale l'esame del quarto motivo del ricorso principale col quale si assume che erroneamente la decisione impugnata ha respinto l'eccezione di estinzione del processo per effetto della tardiva fissazione del giudizio di rinvio, in violazione dell'art. 12 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, dell'art. 392 del c.p.c., degli artt. 32, 34 r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, e dell'art. 60 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916. 3. - Il testo della norma contenuta nell'art. 12 della legge 3 gennaio 1981, n. 1 - che ha sostituito l'ultimo comma dell'art. 59 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 - quarto comma che qui interessa) e' cosi' concepito: "Entro un anno dall'inizio del procedimento (vale a dire dalla richiesta del Ministro al procuratore generale ovvero dalla richiesta o comunicazione del procuratore generale al consiglio superiore: n.d.r.) deve essere comunicato all'incolpato il decreto che fissa la discussione orale davanti alla Sezione disciplinare. Nei due anni successivi dalla predetta comunicazione deve essere pronunciata la sentenza. Quando i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si estingue, sempre che l'incolpato di consenta". Secondo la tesi difensiva del ricorrente gia' sostenuta innanzi alla sezione disciplinare e riproposta in questa sede, la cassazione con rinvio della sentenza disciplinare, con il conseguente nuovo decreto di fissazione dell'udienza e nuovo dibattimento comporterebbe, in base ad una interpretazione estensiva della norma citata che il termine di un anno per la comunicazione di tale nuovo decreto, decorrerebbe dalla data di deposito della pronuncia di annullamento da parte delle sezioni unite della Corte di cassazione. La tesi del ricorrente non puo' essere accolta. Di fronte al chiaro dettato della legge che ha previsto, a pena di estinzione del procedimento disciplinare, soltanto due diversi termini, l'uno annuale entro il quale deve essere comunicato all'incolpato il decreto di fissazione della discussione orale davanti alla sezione disciplinare e l'altro biennale entro cui (con decorrenza da tale comunicazione) deve essere emanata la sentenza, non e' possibile accedere ad una interpretazione della legge che anziche' adeguare la formula all'uopo adoperata alla effettiva intenzione del legislatore (art. 12 delle disp. prel.) ne stravolge il contenuto, dando luogo alla emanazione di un precetto diverso attraverso un procedimento non gia' meramente ermeneutico, ma creativo della legge. Infatti, e' fin troppo evidente la diversita' tra la celebrazione del primo dibattimento che, al culmine della istruttoria ritenuta all'uopo necessaria, termina con la sentenza disciplinare ed il nuovo dibattimento che segue alla cassazione con rinvio, il quale e' caratterizzato fondamentalmente dalla applicazione del principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, per poter concludere nel senso auspicato dal ricorrente, che cioe' il dibattimento in sede di rinvio debba essere soggetto allo stesso termine annuale previsto dall'art. 12 in esame per la prima fase che si conclude con la sentenza disciplinare. D'altro canto, l'art. 12 della legge in esame ha modificato soltanto l'art. 59 del d.P.R. n. 916/1958, riflettente esclusivamente le fasi della istruttoria e del giudizio innanzi alla sezione disciplinare senza incidere tuttavia sulla disciplina delle eventuali fasi di gravame e sul procedimento che si svolge in sede di rinvio, la cui autonomia rispetto al procedimento iniziale non e' suscettibile di discussione alcuna. La difesa del ricorrente, a sostegno del suo assunto, ha richiamato un precedente delle sezioni unite (la sent. n. 3282/1985), ma trattasi di sentenza la quale si e' occupata di problemi del tutto diversi da quello in esame nel presente giudizio, onde l'affermazione prettamente incidentale ivi contenuta a favore di una interpretazione estensiva dell'art. 12, costituendo un obiter dictum (in quella fattispecie in termine annuale previsto dall'art. 12 era stato osservato), non puo' essere considerato un precedente in termini nel senso preteso dal ricorrente. In senso contrario si sono invece pronunciate le sezioni unite, ma con riferimento al diverso problema del termine biennale entro cui deve essere pronunciata la sentenza disciplinare, con le sentenze nn. 2144/1984; 2265/1985; 221/1986, allorche' si e' affermato che ad evitare l'estinzione del procedimento disciplinare a carico di magistrati prevista dall'art. 12 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, per il caso in cui la decisione della sezione disciplinare del consiglio superiore della magistratura non sia resa entro due anni dalla comunicazione all'incolpato del decreto di fissazione della discussione, e' necessario e sufficiente che entro detto termine intervenga quella pronuncia, mentre restano indifferenti i tempi delle ulteriori fasi inerenti al ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione all'eventuale annullamento della pronuncia medesima ed alla successiva fase di rinvio. 4. - L'interpretazione della legge che esclude che il termine annuale di cui all'art. 12 quarto comma citato possa essere applicato anche al procedimento disciplinare che si svolge in sede di rinvio dalla Cassazione determina il sorgere di un problema di legittimita' costituzionale della norma in riferimento agli artt. 3, 24, 101, secondo comma, e 104 primo comma, della Costituzione, cui la difesa del ricorrente si e' richiamata nella discussione orale. La questione di legittimita' costituzionale sopra delineata deve ritenersi nel caso di specie rilevante e non manifestamente infondata in base ai seguenti rilievi. In primo luogo va osservato che in sede di procedimento disciplinare - come l'impugnata sentenza ha dato atto - l'incolpato ha espressamente consentito alla estinzione del procedimento disciplinare, per la inosservanza del termine annuale previsto dall'art. 12, quarto comma, della legge n. 1/1981. Inoltre, nella presente fattispecie e' decorso oltre un anno dal 24 luglio 1986, data di deposito della sentenza n. 4754 delle sezioni unite di cassazione con rinvio, al 27 luglio 1987, data di comunicazione all'incolpato del decreto di citazione per l'udienza in sede di rinvio. Infine, sempre in tema di rilevanza, occorre ancora considerare che, una volta esclusa - in sede di interpretazione della legge n. 1/1981 - al giudizio di rinvio innanzi alla sezione disciplinare l'applicazione del termine annuale previsto dall'art. 12 della legge citata, il procedimento disciplinare di rinvio rimane privo di qualsiasi termine che lo disciplini e puo' quindi legittimamente protrarsi a tempo indeterminato. A questa conclusione di perviene ineluttabilmente osservando che - come le sezioni unite hanno gia' avuto occasione di precisare con la sent. n. 2342/1988 - le norme del processo disciplinare a carico di magistrati dinanzi all'apposita sezione del c.s.m., ivi incluse quelle del rito penale richiamate dagli artt. 33 e 34 del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, trovano applicazione anche in sede di rinvio, dopo l'annullamento della pronuncia di detta sezione disposto dalla suprema Corte senza che possano invocarsi le disposizioni dettate dagli artt. 392 e segg. del c.p.c. La relativa disciplina giuridica presuppone infatti che il giudizio di rinvio trovi impulso in un atto di riassunzione che, in quanto rimesso alla iniziativa della parte interessata, la legge processuale dispone che deve essere compiuto entro un dato termine. Nel procedimento disciplinare invece, dopo la cassazione con rinvio, manca qualsiasi atto riassuntivo poiche' la procedura, anche in sede di rinvio, e' caratterizzata dalla officiosita' analogamente a quanto si verifica nel processo penale. In quest'ultimo, tuttavia, la mancanza di un termine entro cui deve essere proseguito il giudizio di rinvio nei confronti dell'imputato trova un correttivo di notevole rilevanza nella disciplina della prescrizione che determina la estinzione della pretesa punitiva quando sia decorso un dato periodo di tempo (che varia a seconda del reato commesso) senza che sia intervenuta la sentenza irrevocabile. Nel prcedimento disciplinare nei confronti dei magistrati la stessa applicazione delle norme del processo penale - estensibile per concorde riconoscimento anche nella fase di rinvio - dove non sono previsti termini di sorta per la instaurazione del giudizio di rinvio, attesa la sua officiosita', fa si' che la norma in esame sostanzialmente operi, quale diritto vivente, nel senso che in tale fase del procedimento, e diversamente da quella iniziale, l'incolpato e' soggetto illimitatamente al potere disciplinare e quindi senza termine alcuno. Il che determina la rilevanza della prospettata questione di legittimita' costituzionale. 5. - La medesima questione e' altresi' non manifestamente infondata, avendo riguardo al configurabile contrasto dell'art. 12, quarto comma, della legge citata con gli artt. 3, 24, 101, secondo comma, e 104, secondo comma, della Costituzione. Per quanto riguarda il contrasto con l'art. 3 una prospettabile irragionevolezza della norma emerge considerando che se e' vero che, come la Corte costituzionale con la sentenza n. 145/1976 ha statuito, non e' fondata - in riferimento agli artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 107, primo e settimo comma, della Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale della normativa sulla disciplina dei magistrati (r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511; legge 24 marzo 1958, n. 195; d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916) per la parte relativa all'omessa prefissione di termini all'inizio e alla definizione del processo disciplinare, nonche' l'omessa previsione di una prescrizione estintiva dell'azione disciplinare, in quanto in questa materia la discrezionalita' legislativa spazia entro un ambito molto largo, e' altresi' vero che dopo la pronuncia della Corte costituzionale, la legge 3 gennaio 1981, n. 1, sulla costituzione, e il funzionamento del consiglio superiore della magistratura, ha avvertito l'esigenza di limitare nel tempo l'esercizio dell'azione disciplinare, al fine di realizzare una giusta tutela del diritto di difesa dei magistrati nel procedimento disciplinare. La previsione normativa si e' tuttavia limitata alla prima fase del procedimento che va dal suo inizio alla fissazione della discussione orale davanti alla sezione disciplinare, mentre non si e' previsto alcun termine per il procedimento che si svolge in sede di rinvio in seguito alla sentenza di cassazione delle sezioni unite, il quale puo' instaurarsi a protrarsi nel tempo anche illimitatamente stando alla disciplina introdotta dalla norma in esame. Questa diversita' di disciplina appare, tuttavia irragionevole e priva di concreta giustificazione, non comprendendosi per quale motivo il legislatore ordinario ha avvertito l'esigenza di limitare nel tempo l'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati nell'ambito di un procedimento, che attesa la fase istruttoria che lo caratterizza, richiede presumibilmente uno spazio di tempo piu' ampio per pervenire alla fissazione della discussione orale davanti alla sezione disciplinare, dopo che quella istruttoria sia stata compiutamente espletata, rispetto al tempo che ragionevolmente puo' richiedersi per la fissazione della discussione orale, dopo la sentenza di cassazione con rinvio, nell'ambito di un procedimento (quello appunto di rinvio), nel quale non deve svolgersi di regola alcuna attivita' istruttoria, trattandosi soltanto di dare attuazione al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione. E questa irrazionale disciplina delle diverse fasi del procedimento disciplinare determina una disparita' di trattamento dei magistrati nell'ambito della prima fase che e' soggetta per legge al termine annuale entro cui deve essere comunicato all'incolpato il decreto di fissazione della discussione orale a pena di estinzione del procedimento rispetto a quanto si verifica nella fase di rinvio dalla cassazione, nella quale invece non e' irragionevolmente previsto termine alcuno. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quarto comma, della legge in esame si prospetta altresi' con riferimento agli artt. 24, 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione. Infatti, se la discrezionalita' legislativa spazia in materia entro un ambito larghissimo "trattandosi di operare una valutazione comparativa dei due contrapposti interessi, del prestigio della funzione e di una giusta tutela dei diritti dei singoli dipendenti pubblici" (come affermo' la Corte costituzionale con la citata sentenza n. 145/1976), con l'entrata in vigore dell'art. 12, quarto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 1 non puo' piu' dirsi che, per quanto riguarda i magistrati dell'ordine giudiziario, e' stata riconosciuta prevalenza incondizionata al primo degli accennati interessi, non potendosi altrimenti spiegare la norma che ha prefissato i termini previsti dall'art. 12, quarto comma, se non in funzione di una soluzione meno severa di quella desumibile in assenza di qualsiasi intervento legislativo in materia. Si e' cosi' privilegiato l'interesse del magistrato ad una sollecita definizione del procedimento disciplinare, essendosi legislativamente riconosciuto che la mancata prefissione di termini al riguardo puo' incidere negativamente sia sulla tutela del diritto di difesa dell'incolpato che sulla sua serenita' di giudizio nell'espletamento dei suoi delicati compiti ed infine sulla sua autonomia ed indipendenza. In definitiva, e' da ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quarto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 1, piu' volte citata - nella parte in cui, pur statuendo che entro un anno dall'inizio del procedimento disciplinare nei confronti del magistrato deve essere comunicato all'incolpato, a pena di estinzione del procedimento stesso, il dcreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare, non prevede termine alcuno per l'inizio del procedimento in sede di rinvio dalla cassazione - per contrasto con gli artt. 3, 24, 101, secondo comma, e 104, primo comma della Costituzione e pertanto necessaria ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.